gennaio 22, 2017 -
fantastico,Idee,racconto
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Sahara - Parte I
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La giornata era calda e torrida, senza un soffio di vento a renderla più piacevole. La sabbia del deserto luccicava in abbaglianti riflessi che andavano dall’oro, al bianco, all’ocra, in contrasto con l’immenso azzurro del cielo terso.
Lo scavo stava iniziando a prendere forma e le prime tombe erano tornate finalmente alla luce dopo secoli di oblio sotto la terra del Mali. Marco era stato orgoglioso di essere scelto per lavorare a quel grande progetto per la sua tesi di dottorato, ma da quando aveva messo piede in Africa, la laurea era passata in secondo piano. La sua mente era completamente rapita dalla bellezza del Sahara e dalla curiosità di scoprire cosa stavano portando alla luce, dopotutto era sbalorditivo che sotto il deserto ci fosse un intero sito tombale quasi intatto, vecchio di centinaia di anni.
Quel giorno il ragazzo era stato affidato al gruppo dell’area nove e doveva occuparsi di cercare reperti per aiutarli nella datazione del sito mentre cominciava a sgomberare parte della zona.
Gli altri studenti ritenevano che si trattasse di una tomba, circondata da una serie di pietre disposte a falce lunare, ma lui era perplesso. Le pietre erano riccamente incise con motivi geometrici che ne ricoprivano ogni centimetro e nessuna delle altre tombe sembrava avere simili disegni. D’altra parte le dimensioni non erano tali da far pensare al luogo di sepoltura di una persona importante, anzi la camera più interna era piuttosto angusta e l’unica cosa degna di nota erano delle nicchie nelle pareti circolari.
Mentre cominciava a ripulire dalla sabbia in eccesso una sezione del muro, sforzandosi di trovare una possibile spiegazione, i disegni geometrici cominciarono a comparire poco a poco, misteriosi e affascinanti, diversi da qualunque altra cosa avesse mai studiato: non erano immagini che appartenessero alle culture nordafricane che conosceva.
Improvvisamente notò una rientranza nella parete, piccola e stranamente vicino al pavimento, come se fosse stata pensata per nascondere qualcosa. Cominciò a pulire la nicchia, ancora ingombra di sabbia e qualcosa attirò subito la sua attenzione: era un pugnale in osso, avvolto in un panno ormai sbiadito dal tempo.
Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata mentre lo prendeva in mano con deferenza. Forse si trattava di un’antica arma, di un pugnale rituale o di un portafortuna, non poteva dirlo con certezza. Però, qualunque cosa fosse, doveva essere stato importante per il suo proprietario visto che era stato riposto con così tanta cura.
Sfiorò la liscia superficie con i polpastrelli, ammirandone la fattura. Si era completamente dimenticato che in quel modo il reperto avrebbe potuto essere danneggiato. Continuava a rigirarlo tra le mani, come in trance, studiandone i rilievi, la forma irregolare e le sfumature.
-Trovato nulla?-
La voce di Jean lo fece saltare su posto. Il ragazzo dai capelli rossi lo guardava con i suoi occhi nocciola, troppo grandi per il viso magro e il corpo minuto. Una scintilla di curiosità gli illuminava lo sguardo da ragazzino. Scosso dal suo torpore, Marco si girò verso il compagno e sorrise.
-Credo proprio di si-.
Marco si stiracchiò, dando un veloce sguardo al cielo stellato prima di entrare nella tenda che divideva con Jean. L'amico era rimasto intorno a fuoco ad ascoltare le storie degli indigeni, ma lui non era appassionato di racconti di spiriti e folletti, preferiva darsi una lavata e leggere qualche pagina di Cecità.
Il ragazzo si scompigliò i capelli mossi, facendo cadere la sabbia dalle ciocche troppo lunghe, poi gettò l'asciugamano sul tavolinetto che usava come scrivania e si buttò sul letto. Dopo due mesi aveva finalmente cominciato a prendere il ritmo della vita al campo e l'eccitazione per le scoperte, per la spedizione, per quell'avventura, gli facevano sopportare senza problemi i non pochi disagi.
Dopo aver consegnato il reperto alla professoressa Hills e aver visto i suoi occhi pieni di stupore, poi, si era sentito felice e orgoglioso di aver contribuito a trovare uno dei tasselli che servivano loro per scoprire qualcosa del passato di quella regione.
All'improvviso cominciò a soffiare un vento freddo proveniente dal deserto e l'aria entrò nella tenda, creando un piccolo vortice proprio nel centro che scompagnò gli appunti e agitò le pagine dei libri. Al ragazzo sfuggì un'imprecazione, mentre la sabbia cominciava a ricoprire le sue cose e gli si appiccicava addosso.
Si alzò per andare a chiudere il telo che copriva l'entrata ma una strana sensazione lo bloccò a metà strada, con la pelle d'oca alla base del collo. Gli sembrava di avvertire dei sussurri nell'aria, troppo deboli per poterne distinguere le parole. Pensò che fosse la sua immaginazione, o forse era la stanchezza, fargli sentire voci nel suono del vento, ma i bisbiglii sembravano molto più che reali. Si alzavano e abbassavano di tono in maniera ritmica, come se fosse la stessa frase nella quale qualcuno voleva sottolineare determinate parole.
Quasi gli venne un infarto quando Jean entrò nella tenda seguito da uno degli uomini che li aiutavano negli scavi.
Jean lo guadò di traverso.
-Marco, tu vais bien? Sei pallido- chiese tra il preoccupato e l'incuriosito.
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata nervosa, ma annuì. Quelle che aveva sentito erano sicuramente le voci di Jean e di quell'uomo, Anwar se non ricordava male. Si era fatto suggestionare dai racconti e dai cambiamenti climatici del deserto, come un principiante.
Si accorse con disappunto che, mentre il rosso parlava, l'uomo lo stava guardando con i suoi occhi di pece, talmente scuri che non riusciva a capire dove finisse l'iride e dove iniziasse la pupilla. Le cornee bianche spiccavano come stelle sulla carnagione d'ebano e i lunghi capelli, anch'essi neri, legati in treccine sottili.
Uno strano brivido gli corse lungo la schiena quando i loro sguardi si incrociarono. Marco si voltò velocemente, chinandosi a raccogliere le carte sparse ancora in giro. Si sentiva a disagio, come se quell'uomo imponente avesse capito che era successo qualcosa. Ovviamente era solo il frutto della sua fantasia esattamente come quello che credeva di aver sentito, in realtà non era capitato nulla.
Sentì Jean salutare e aspettò che i passi di Anwar si allontanassero per rialzarsi da terra.
-Che dicevate?- chiese all'amico, mettendo le carte che aveva raccolto sul piccolo tavolo che fungeva da scrivania.
-La professoressa Hill ha deciso di concentrare le ricerche nell'area nove e nell'area cinque che sembrano le più promettenti, così Anwar è stato assegnato al nostro gruppo. Era solo venuto ad avvisarci e a chiedere se doveva portare qualche strumento in particolare domani- rispose il ragazzo, togliendosi i vestiti sporchi di sabbia e mettendosene di puliti.
Marco annuì, non troppo contento della notizia. La cosa lo stupì, non aveva nulla contro quell'uomo, anzi era il responsabile delle attrezzature e della manodopera del campo e si era sempre dimostrato un ottimo lavoratore. Perché essere disturbato dall'idea di lavorare con lui? Probabilmente aveva solo bisogno di stendersi e riposare, l'indomani avrebbe dimenticato quella strana avventura e sarebbe stato tutto come prima.
Il ragazzo si scompigliò i capelli mossi, facendo cadere la sabbia dalle ciocche troppo lunghe, poi gettò l'asciugamano sul tavolinetto che usava come scrivania e si buttò sul letto. Dopo due mesi aveva finalmente cominciato a prendere il ritmo della vita al campo e l'eccitazione per le scoperte, per la spedizione, per quell'avventura, gli facevano sopportare senza problemi i non pochi disagi.
Dopo aver consegnato il reperto alla professoressa Hills e aver visto i suoi occhi pieni di stupore, poi, si era sentito felice e orgoglioso di aver contribuito a trovare uno dei tasselli che servivano loro per scoprire qualcosa del passato di quella regione.
All'improvviso cominciò a soffiare un vento freddo proveniente dal deserto e l'aria entrò nella tenda, creando un piccolo vortice proprio nel centro che scompagnò gli appunti e agitò le pagine dei libri. Al ragazzo sfuggì un'imprecazione, mentre la sabbia cominciava a ricoprire le sue cose e gli si appiccicava addosso.
Si alzò per andare a chiudere il telo che copriva l'entrata ma una strana sensazione lo bloccò a metà strada, con la pelle d'oca alla base del collo. Gli sembrava di avvertire dei sussurri nell'aria, troppo deboli per poterne distinguere le parole. Pensò che fosse la sua immaginazione, o forse era la stanchezza, fargli sentire voci nel suono del vento, ma i bisbiglii sembravano molto più che reali. Si alzavano e abbassavano di tono in maniera ritmica, come se fosse la stessa frase nella quale qualcuno voleva sottolineare determinate parole.
Quasi gli venne un infarto quando Jean entrò nella tenda seguito da uno degli uomini che li aiutavano negli scavi.
Jean lo guadò di traverso.
-Marco, tu vais bien? Sei pallido- chiese tra il preoccupato e l'incuriosito.
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata nervosa, ma annuì. Quelle che aveva sentito erano sicuramente le voci di Jean e di quell'uomo, Anwar se non ricordava male. Si era fatto suggestionare dai racconti e dai cambiamenti climatici del deserto, come un principiante.
Si accorse con disappunto che, mentre il rosso parlava, l'uomo lo stava guardando con i suoi occhi di pece, talmente scuri che non riusciva a capire dove finisse l'iride e dove iniziasse la pupilla. Le cornee bianche spiccavano come stelle sulla carnagione d'ebano e i lunghi capelli, anch'essi neri, legati in treccine sottili.
Uno strano brivido gli corse lungo la schiena quando i loro sguardi si incrociarono. Marco si voltò velocemente, chinandosi a raccogliere le carte sparse ancora in giro. Si sentiva a disagio, come se quell'uomo imponente avesse capito che era successo qualcosa. Ovviamente era solo il frutto della sua fantasia esattamente come quello che credeva di aver sentito, in realtà non era capitato nulla.
Sentì Jean salutare e aspettò che i passi di Anwar si allontanassero per rialzarsi da terra.
-Che dicevate?- chiese all'amico, mettendo le carte che aveva raccolto sul piccolo tavolo che fungeva da scrivania.
-La professoressa Hill ha deciso di concentrare le ricerche nell'area nove e nell'area cinque che sembrano le più promettenti, così Anwar è stato assegnato al nostro gruppo. Era solo venuto ad avvisarci e a chiedere se doveva portare qualche strumento in particolare domani- rispose il ragazzo, togliendosi i vestiti sporchi di sabbia e mettendosene di puliti.
Marco annuì, non troppo contento della notizia. La cosa lo stupì, non aveva nulla contro quell'uomo, anzi era il responsabile delle attrezzature e della manodopera del campo e si era sempre dimostrato un ottimo lavoratore. Perché essere disturbato dall'idea di lavorare con lui? Probabilmente aveva solo bisogno di stendersi e riposare, l'indomani avrebbe dimenticato quella strana avventura e sarebbe stato tutto come prima.

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