gennaio 15, 2017 -
fantasy,racconto
No comments
fantasy,racconto
No comments
The Father, the Mother, the Child - Parte I
Malika abbatté un nuovo scheletro con la lunga spada a due mani, facendo ben attenzione a ridurlo in pezzi. Come aveva imparato a sue spese qualche ora prima, quelle creature avevano la capacità alquanto scomoda di continuare a muoversi ed attaccare qualunque cosa capitasse loro a tiro, anche quando ricevevano ferite che sarebbero dovute essere mortali.
Intorno a loro l’oscurità era tanto fitta da non riuscire a distinguere la strada che avevano percorso e le pareti di roccia che li circondavano. Se non fosse stato per il bagliore azzurro del manto di Lash’Ker, sarebbe stato del tutto impossibile combattere i non-morti che erano venuti loro incontro ad ondate sempre più ravvicinate.
La voce calda e profonda del Meeled si diffuse nella mente della ragazza, che avvertiva la coscienza di lui espandersi a toccare la propria come un vento leggero, dandole la sensazione di essere di nuovo completa.
In realtà non avevano bisogno di comunicare a parole per sapere cosa l’altro voleva dire. Il Legame permetteva loro di essere uno l’estensione dell’altra, il suo perfezionamento. I pensieri viaggiavano nella mente del compagno quasi nello stesso momento in cui venivano formulati, così come le percezioni e le emozioni, ma rimanere concentrati nella lotta con così tanti stimoli mentali era complesso, troppo per poterne padroneggiare l’arte in meno di un anno. Così, ogni volta che si ritrovavano a dover combattere, entrambi richiudevano le loro menti.
-Non possiamo rischiare che l’anomalia che si rifugia in questo luogo continui ad espandersi. Più rimandiamo, più creature trasformerà in suoi servi non-morti- proseguì lei.
Parlare ad alta voce le sembrava sempre così strano da quando era abituata a comunicare in maniera più completa e profonda. Le parole erano superficiali, sottili, unidimensionali. Non riuscivano a trasmettere tutto quello che voleva. Davanti alla possibilità di scambiare pensieri, immagini e conoscenze solo con un semplice desiderio, parevano inadeguate, come fantasmi rispetto a un corpo fisico.
Ricominciarono a scendere nelle gallerie che conducevano al cuore della montagna. Intorno a loro iniziarono ad aprirsi nicchie e volte dove erano stati accuratamente accatastati teschi di ogni forma e dimensione, ormai tanto ingrigiti da sembrare parte della roccia stessa. Il silenzio era totale, gli unici rumori che avvertivano erano quelli del loro respiro, che andava condensandosi man mano che proseguivano la discesa, e della ghiaia smossa dai loro passi.
Lash’Ker tornò a ritirare la sua coscienza, mentre la ragazza alzava la lunga spada davanti a sé, aspettandosi un nuovo attacco che però non sembrava arrivare. Giunsero così ad una ripida scalinata che correva lungo una delle pareti della caverna. Sporgendosi dalla parte opposta, Malika rimase impressionata dalla fitta oscurità del baratro. Persino con la vista potenziata che le aveva donato il Legame non riusciva a distinguerne il fondo, come se quella strada, l’unica esistente, portasse direttamente al centro della Terra.
Dopo un attimo di esitazione, cominciarono ad avanzare, un gradino alla volta. Erano preoccupati di incappare in una trappola, ma che altra scelta avevano?
Improvvisamente, un boato sopra le loro teste li fece immobilizzare. Nell’ombra sembrava che qualcosa si stesse staccando dalla roccia. Tutto ciò che riuscirono a distinguere inizialmente fu una mano grande come l’intera testa di Lash’Ker, con quattro dita e con parte delle ossa ben visibili, poi . dalla parete comparve anche un braccio.
Si guardarono intorno in cerca di una via di fuga o di un posto più consono per combattere, ma il cunicolo dal quale erano arrivati era ormai troppo lontano e per raggiungerlo sarebbero dovuti passare esattamente sotto al polso della creatura, con il rischio di finire intrappolati tra le dita scarnificate.
Non potevano nemmeno rimanere bloccati ad aspettare che quella creatura li schiacciasse o che finissero nel vuoto cercando di evitarne un attacco. L’adrenalina entrò in circolo nel sangue di Malika, dandole una scarica di velocità e di lucidità. Dovevano scendere. Sfruttare la stretta scalinata per far precipitare quell’enorme cadavere.
Lash’Ker le si fermò davanti, inginocchiandosi appena per permetterle di salirgli in groppa. Le fiamme azzurre la avvolsero, attraversandole il corpo senza farle alcun male ma anzi donandole un senso di calma e protezione, poi il Meleed ricominciò a correre. Il gigante dietro di loro era ormai riuscito a liberarsi dalla sua tomba di roccia, ma il bagliore azzurro della scia di Lash’Ker non riusciva ad illuminarlo interamente. I suoi passi facevano tremare l’intera caverna, rimbombando su ogni parete
Mentre una grossa mano marcescente si allungava per prenderli, costringendo il Meleed ad aggrapparsi alla parete con i lunghi artigli per non essere schiacciato, un’idea attraversò la mente di entrambi, come un lampo.
Non ci fu bisogno di parlare, di guardarsi o di pensare, Lash’Ker spiccò un potente balzo, atterrando esattamente sulla mano, poi risalì il braccio.
Quando si trovò davanti la testa del mostro, Malika non riuscì a trattenere un brivido. Il volto era sfigurato, con brandelli di pelle grigiastra che penzolavano dalle poche parti di carne e muscoli ancora presenti, mentre le ossa erano quasi del tutto esposte. La parte più rivoltante era un occhio, di un giallo vitreo e nebuloso che ancora riempiva una delle orbite della creatura e girava nella cavità oculare ad ogni movimento dell’enorme teschio. Se parte del cranio poteva sembrare lontanamente umano, i lunghi denti appuntiti, il colore nero della carne e gli spuntoni ossei che gli sormontavano il capo come una cresta non lasciavano spazio al dubbio su cosa potesse essere: un jirsha, un demone del sottosuolo.
Quanto potere doveva aver acquisito l’anomalia per essere in grado di controllare una creatura simile?
Il manto tigrato del Meleed cominciò a brillare, così come gli occhi della ragazza. Il grosso spirito aumentò l’andatura e caricò la creatura in mezzo alle orbite vuote, trapassandola con uno schiocco sordo e uno zampillo di luce bluastra.
Il jirsha non-morto venne sbilanciato all’indietro dall’impatto, mettendo un piede in fallo sulla scala troppo stretta. Malika e Lash’Ker si affrettarono ad allontanarsi per evitare di essere travolti dalla creatura che cadeva nell’oscurità con il fragore di una valanga, trascinando rocce e detriti con sé. Lo schianto del corpo sopraggiunse diversi minuti più tardi, facendo sobbalzare la ragazza: la strada che dovevano percorrere per arrivare in fondo alle catacombe era ancora lunga.
Non rimaneva loro che continuare la discesa.
Proseguirono nel buio per quelli che parvero giorni, circondati da pareti di roccia sempre uguali, in un labirinto di cunicoli impossibili da riconoscere senza l’aiuto di abitanti del Piano Inferiore. Inoltre, grazie al Legame, la ragazza poteva evitare di mangiare per settimane, ma entrambi avevano bisogno di riposo e non era facile riuscire a chiudere occhio in un groviglio di corridoi dai quali potevano spuntare nemici da un momento all’altro.
Fortunatamente, le lotte contro scheletri e non morti erano sempre più rare, probabilmente perché sempre meno persone si erano spinte così in profondità nella tana dell’anomalia, e questo permetteva a Malika di evitare di sprecare troppe energie per richiamare dal Piano Superiore guardiani spirituali che li proteggessero durante il sonno.
Dopo aver superato l’ennesimo bivio, si resero conto che la roccia della montagna aveva lasciato il posto a una strada lastricata e a pareti nelle quali erano state intagliate una serie di statue di demoni fino ad arrivare ad un grande arco in marmo bianco. Da esso pendevano ancora i resti di quello che doveva essere un drappo di velluto rosso, diventato ormai solo uno straccio ingrigito e lurido.
I due varcarono la soglia, ritrovandosi in un enorme ingresso, talmente simile a quello di un castello o di una villa in rovina da lasciarli sconcertati. Intorno a loro c’erano nuovamente statue, questa volta in alabastro, semi distrutte e ricoperte di polvere. Qua e là erano ancora presenti i supporti delle torce, ma queste erano state consumate da tempo.
L’aria umida e viziata delle gallerie, con il suo sentore di muschio e terra, aveva lasciato il posto all’odore di polvere, di pergamena e legno antichi... e alla puzza metallica del sangue.
-Forse siamo arrivati, finalmente…- disse la ragazza, trattenendo il respiro e cominciando a ritirare la sua coscienza. Era nervosa, forse per via di quel posto, forse perché cominciava a temere quello che li aspettava, forse perché si rendeva conto che non poteva proseguire senza sapere cosa avrebbero trovato oltre quella scalinata.
-Non ti lascerò andare sul Piano Inferiore da sola Malika, non mentre sei così debole-. La voce del Meleed le invase la mente, acuendo il timore che lo spirito aveva iniziato a riversare in lei quando aveva percepito le sue intenzioni.
La voce calma della giovane si perse tra le pareti troppo ampie della stanza.
-Non possiamo rischiare di lasciare i nostri corpi incustoditi in questo posto, lo sai… E io non sono abbastanza forte per poterti proteggere da sola da un attacco-.
-Non sei abbastanza forte neanche per controllare un’area così vasta da un altro Piano!- replicò lo spirito.
-Non possiamo continuare a proseguire a tentoni, senza sapere dove si trova l’anomalia. Sai che è necessario, Lash’Ker, come lo so io-
La tigre sbuffò, cominciando a camminare avanti e indietro, turbata. Malika capiva molto bene le sue preoccupazioni, non solo le sentiva nella sua mente, ma il suo stesso corpo le provava, erano parte di entrambi.
Si inginocchiò a terra, prendendo un profondo respiro, poi cominciò a ritirare completamente sé stessa dal Meleed.
Quel processo era difficile da sopportare. Più rendeva esile il Contatto delle anime, più il procedimento diventava quasi doloroso, come amputarsi un braccio facendo ben attenzione a lasciare qualche nervo ancora collegato al resto del corpo. Tuttavia, se voleva evitare di trascinare lo spirito su un altro Piano con lei, doveva farlo, anche se voleva dire fare soffrire entrambi.
Quando il Legame fu abbastanza debole, la giovane chiuse gli occhi, si concentrò sul respiro, prima regolarizzandolo, poi rendendolo più lento, infine silenziò la sua mente, e fissò la sua attenzione solo sui battiti del suo cuore.
Presto gli odori, i suoni e le sensazioni del mondo intorno a lei presero a svanire, tutto ciò che riguardava i suoi sensi fisici si affievolì fino a diventare quasi un flebile ricordo. Venne invasa dalla percezione di un’ombra terribile, un’oscurità che ammantava tutto ciò che aveva intorno. Boccheggiò come se le avessero tirato un pugno in pieno stomaco e si dovette costringere a rimanere concentrata per non venire catapultata di nuovo nel suo corpo.
Quando finalmente ebbe calmato di nuovo la sua mente, si guardò intorno. Riconobbe l’ampia stanza dove si erano fermati, nonostante i suoi contorni materiali fossero indefiniti e disturbati. Accanto a lei, l’enorme fiamma dalle sfumature che andavano dal bianco al blu profondo, l’anima del Meleed, bruciava, riempiendola di pace e quiete, in completo contrasto con quello che il suo spirito avvertiva intorno a lei.
Si costrinse ad avanzare, fluttuando all’interno dell’area che avevano appena scoperto, in cerca del loro obiettivo. Aveva deciso di non calarsi completamente in un Piano Spirituale, ma di rimanere collegata anche al Piano Umano per non rischiare che l’anomalia le sfuggisse nel caso non si trattasse di uno spirito. In questo modo però, la sua visione era confusa, come se più immagini dello stesso posto, tutte diverse per qualche dettaglio, fossero sovrapposte una all’altra.
Quell’enorme malvagità che lei vedeva rappresentata come una nube oscura, ammantava l’intera Città dei Morti, una vastissima costruzione sotterranea creata in epoche remote per dare pace agli spiriti dei defunti. Gli uomini avevano perso la memoria di quel luogo sacro, ma non la materia che li componeva, che però era stata corrotta dall’anomalia.
Improvvisamente, la giovane avvertì una coscienza.
Era indistinta, disturbata, non aveva niente a che vedere con quello che conosceva o aveva appreso fino a quel momento. Però era l’origine di quel miasma di morte, di quell’oscurità che aveva contaminato quel luogo su due interi Piani.
All’improvviso la creatura si accorse di lei. La ragazza non ebbe il tempo di proteggersi o di ritirarsi nel suo corpo, non ebbe il tempo nemmeno di pensare. Se si fosse trattato di uno scontro di volontà come un’altro forse sarebbe riuscita a resistere abbastanza a lungo da scappare, ma la coscienza che l’aveva toccata non era quella di un singolo essere.
Erano tre.
Con l’ultimo barlume di ragione, la giovane annullò completamente il Legame con Lash’Ker, poi cominciò a precipitare nell’oscurità.
0 commenti:
Posta un commento