gennaio 09, 2017 -
descrizioni,Esercizi
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Esercizio 03 - Tempo 40 minuti
Per il post di questa settimana ho deciso di fare un semplice esercizio di descrizione. Mi sono chiesta se fosse possibile scrivere qualcosa senza che nella storia ci siano avvenimenti, così ho preso un'immagine casuale e ho cominciato a raccontare quello che mi faceva venire in mente, cercando di incentrare tutto il lavoro sulle descrizioni. Non posso dire che sia il mio post migliore, sicuramente non è quello che più mi piace, ma ammetto di essermi rilassata molto a scriverlo.
Erano diverse ore che camminava, spingendosi sempre di più verso l'interno del fitto bosco. La luce filtrava appena tra le fronde, ma riusciva comunque ad illuminare il sottobosco, accendendo delle sfumature del fuoco il terreno coperto di foglie.
Non riusciva ancora a capire dove fosse finita e non
sapeva come ci fosse arrivata, lì.
Ricordava solo di essersi svegliata, in piena notte,
su una spiaggia. Intorno a lei non c'era niente se non un muro di ombra oltre
la striscia di sabbia bianca, gli unici rumori che avvertiva erano quello del
vento tiepido che soffiava dal mare e lo sciabordio delle onde. Aveva fatto
fatica a mettere insieme i propri pensieri, inizialmente.
Si sentiva la testa pesante, tormentata da una
spaventosa emicrania. A malapena riusciva a reggersi in piedi senza che il
mondo intorno a lei cominciasse a girare vorticosamente. Alla fine aveva deciso
di aspettare che il malessere passasse, tanto non sarebbe potuta andare da
nessuna parte con quell'oscurità.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse aspettato
sdraiata sulla sabbia a contemplare il cielo pieno di stelle con quella
curiosità che di solito avevano solo i bambini, ma piano piano gli astri avevano cominciato a sbiadire per poi scomparire. Il cielo aveva
iniziato a schiarirsi, prima tingendosi di grigio, poi di un lieve rosa. Quando
il sole aveva iniziato a sorgere, nascendo dal mare come un fiore, la luce era esplosa in un arancio abbagliante e in un giallo dorato che le avevano
fatto venire le lacrime agli occhi.
Era rimasta a contemplare l'alba finché il sole non si
era staccato dall'orizzonte, troppo colpita da quello che stava vedendo per
rendersi conto di altro, poi aveva deciso di guardarsi intorno con più
attenzione.
Il muro d'ombra che aveva visto la sera prima altro
non era che una foresta immensa, con alberi dalle chiome aranciate e
lussureggianti nonostante il clima fosse caldo. Una voce in profondità dentro
di lei, le diceva che c'era qualcosa di strano in quello che la circondava, ma
soprattutto nell'essere lì, senza farsi domande. Eppure, non voleva
rovinare quella sensazione di pace e di bellezza, non voleva smettere di
stupirsi di quello che vedeva.
Anzi, voleva vedere di più.
In lontananza, oltre il bosco, sembrava esserci una grande collina, o una piccola montagna, dalle pareti di roccia grigia appena punteggiate di alberi, questa volta dalle chiome verdi. La parte della sua mente ancora razionale le fece pensare che poteva essere un ottimo punto d'osservazione per capire meglio dove si trovasse.
Se avesse usato la ragione avrebbe camminato sulla spiaggia, cercando una via più sicura per raggiungere la sua meta, una strada che le avesse permesso di continuare a tenere d'occhio la montagnola.
In realtà, alla fine aveva deciso di inoltrarsi nella foresta, spinta da un'impulso, da un capriccio, e ora vagava senza una direzione precisa.
I suoi passi facevano scricchiolare le foglie, creando quasi una melodia alla quale si unì un delicato gorgogliare. Lo seguì fino a trovare una piccola conca nel terreno, dove un fiumiciattolo scorreva pigro tra rocce di varie dimensioni.
Si chinò per bere l'acqua ghiacciata, così trasparente da far intravedere i ciottoli sul fondo, e un leggero retrogusto metallico le scivolò in gola mentre i bagliori creavano giochi di luce e ombra lungo il corso del fiume.
Riflessa nell'acqua c'era l'immagine di una giovane donna dai grandi occhi color nocciola. Il viso allungato era solcato da una sottile cicatrice biancasta che partiva dal sopracciglio destro e finiva sotto lo zigomo sinistro, indurendole i lineamenti. Le labbra carnose erano dischiuse in un sorriso sorpreso mentre i lunghi ricci neri, ancora pieni di sabbia, ondeggiavano placidamente oltre la spalla.
Le ci volle qualche secondo per capire che quel riflesso era il suo: quello non era l'aspetto che ricordava di avere. Pensandoci meglio, però, si rese conto di non ricordare affatto quale fossero le sue sembianze.
Alzò una mano bagnata per sfiorare la cicatrice che le deturpava il viso. Il freddo del tocco le fece correre un brivido lungo la schiena mentre le sopracciglia si incurvavano in una smorfia contrariata.
Al tocco, il segno sembrava ruvido e irregolare, estraneo.
Da quanto tempo lo aveva e come se lo era fatto? Perché non riusciva a ricordare niente di sé stessa?
In lontananza, oltre il bosco, sembrava esserci una grande collina, o una piccola montagna, dalle pareti di roccia grigia appena punteggiate di alberi, questa volta dalle chiome verdi. La parte della sua mente ancora razionale le fece pensare che poteva essere un ottimo punto d'osservazione per capire meglio dove si trovasse.
Se avesse usato la ragione avrebbe camminato sulla spiaggia, cercando una via più sicura per raggiungere la sua meta, una strada che le avesse permesso di continuare a tenere d'occhio la montagnola.
In realtà, alla fine aveva deciso di inoltrarsi nella foresta, spinta da un'impulso, da un capriccio, e ora vagava senza una direzione precisa.
I suoi passi facevano scricchiolare le foglie, creando quasi una melodia alla quale si unì un delicato gorgogliare. Lo seguì fino a trovare una piccola conca nel terreno, dove un fiumiciattolo scorreva pigro tra rocce di varie dimensioni.
Si chinò per bere l'acqua ghiacciata, così trasparente da far intravedere i ciottoli sul fondo, e un leggero retrogusto metallico le scivolò in gola mentre i bagliori creavano giochi di luce e ombra lungo il corso del fiume.
Riflessa nell'acqua c'era l'immagine di una giovane donna dai grandi occhi color nocciola. Il viso allungato era solcato da una sottile cicatrice biancasta che partiva dal sopracciglio destro e finiva sotto lo zigomo sinistro, indurendole i lineamenti. Le labbra carnose erano dischiuse in un sorriso sorpreso mentre i lunghi ricci neri, ancora pieni di sabbia, ondeggiavano placidamente oltre la spalla.
Le ci volle qualche secondo per capire che quel riflesso era il suo: quello non era l'aspetto che ricordava di avere. Pensandoci meglio, però, si rese conto di non ricordare affatto quale fossero le sue sembianze.
Alzò una mano bagnata per sfiorare la cicatrice che le deturpava il viso. Il freddo del tocco le fece correre un brivido lungo la schiena mentre le sopracciglia si incurvavano in una smorfia contrariata.
Al tocco, il segno sembrava ruvido e irregolare, estraneo.
Da quanto tempo lo aveva e come se lo era fatto? Perché non riusciva a ricordare niente di sé stessa?

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