febbraio 05, 2017 -
Esercizi,fantastico
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La settima morte

Andrea si svegliò di soprassalto, con il corpo imperlato di sudore, il cuore che batteva all’impazzata e la testa che gli girava, piena di immagini confuse che si susseguivano, rincorrendosi a una velocità tale da fargli venire la nausea. Si mise seduto sul bordo del divanetto con una mano a coprire la bocca, cercando di calmarsi con respiri lenti e profondi.
Aveva imparato a conoscere fin troppo bene quelle sensazioni e, nonostante il fastidio, del malessere gli interessava poco; tanto sarebbe passato dopo qualche minuto. Quello che più gli premeva era capire dove fosse finito questa volta.
La stanza puzzava di fumo e di sudore, da qualche parte era stato acceso uno stereo che diffondeva la voce roca e avvolgente di una donna accompagnata da un pianoforte.
Abbassò il viso, notando la camicia lisa, aperta su una maglietta chiazzata, e i jeans strappati. Si diresse verso il bagno per controllare che tutto fosse a posto. Ondeggiò un paio di volte, instabile sulle gambe come se quel corpo non riuscisse a rispondere bene ai suoi comandi. Aveva la testa annebbiata e sembrava che qualcosa gli comprimesse il cervello, dandogli continue fitte.
Quando riuscì a raggiungere lo specchio, lo accolse l’immagine di un uomo sulla quarantina con la pancia gonfia, il viso non rasato, gli occhi iniettati di sangue e i capelli castani e scarmigliati. Dal suo aspetto e da come si sentiva, era probabile che l'originario proprietario del corpo avesse deciso di sbronzarsi per bene.
Quando riuscì a raggiungere lo specchio, lo accolse l’immagine di un uomo sulla quarantina con la pancia gonfia, il viso non rasato, gli occhi iniettati di sangue e i capelli castani e scarmigliati. Dal suo aspetto e da come si sentiva, era probabile che l'originario proprietario del corpo avesse deciso di sbronzarsi per bene.
Rivoltò con un sospiro il contenuto delle tasche nel lavandino, trovando finalmente la patente del suo ospite. A quanto pare il suo nome era Kurt Müller. Beh, non era particolarmente felice di essere diventato un alcolista ma almeno non era finito di nuovo nel corpo di una donna. Non voleva in nessun modo subire un’altra fine come quella. Gli venivano ancora i brividi al solo pensiero.
Tornando nella camera da letto per farla arieggiare, per poco non finì schiantato sul pavimento, inciampando su di una bottiglia vuota di rum. Tutta la stanza era invasa da cartoni di pizza, lattine di birra e vestiti sporchi, come se l’uomo non uscisse da giorni. Le pareti erano ricoperte di carta da parati vecchia quanto lui. A giudicare dalla mancanza di una cucina e dal triste parcheggio che si vedeva dall’unica finestra, si trovava in un motel di infima categoria. Il ragazzo pregò di non trovare topi in giro. Ragni e scarafaggi poteva tollerarli, ma i topi gli facevano davvero schifo.
Si sedette sul bordo del letto pensando al da farsi, ma qualcosa di duro gli graffiò una gamba.
Kurt aveva seppellito sotto le coperte una pistola.
Il ragazzo non ne capiva nulla, sapeva solo che quell’arma gli faceva paura. La sollevò con due dita, come se si trattasse di qualcosa di infetto. Era più pesante di quanto immaginasse.
Cosa doveva farsene di quell’affare? Non sapeva come usarla e tenerla in quella stanza lo rendeva inquieto. Ma dove altro poteva metterla? Non sapeva nemmeno dove fosse e quali leggi vigevano sulla detenzione delle armi. Per il momento sarebbe stato meglio nasconderla sotto il materasso.
Cercò ovunque uno smarthphone per poter controllare con il navigatore almeno in che nazione si trovasse, ma saltarono fuori solo le chiavi della stanza. Spostando cuscini e vestiti, comparì anche qualche spicciolo, abbastanza da poter comprare qualcosa per riempirsi lo stomaco, così si mise a recuperare tutto il pattume disperso in giro per andarlo a buttare prima di uscire. Non sapeva quanto sarebbe rimasto in quel corpo e non aveva intenzione di vivere in quelle condizioni igieniche. Prima di chiudere la porta dietro di sé, lo sguardo del ragazzo cadde sul letto. Forse avrebbe potuto buttare quella pistola nel cassonetto. Alla fine scartò l’idea, avrebbe cercato un corso d’acqua e quella notte sarebbe uscito per farla sparire in un posto più sicuro.
Ci vollero quasi due ore per trovare un fast food e riuscire a tornare alla sua nuova “casa”. Aveva anche trovato un fiumiciattolo non troppo lontano dal motel, poco più di un canale di scolo ma sufficientemente profondo per far sparire la pistola.
Si mise a mangiare il panino ormai freddo al tavolino davanti alla televisione a tubo catodico.
La solitudine gli cadde addosso come un masso. Nonostante fosse passato del tempo da quando era cominciata tutta quella situazione, non riusciva a non rimpiangere la sua vecchia vita. Persino le cose che non aveva mai sopportato come le cene in famiglia e le litigate per la scuola, erano diventati ricordi che acuivano la tristezza e la solitudine. Pensò mestamente che almeno si trovava ancora in Italia, anche se non era più in grado di vedere nessuna delle persone che amava.
Accese la televisione con rabbia, sperando di trovare qualche film per acquietare i pensieri, ma le immagini scorrevano senza destare in lui alcun interesse, almeno finché non comparve sullo schermo la faccia scontrosa di quello che era diventato il suo corpo.
Il fermo immagine era in bianco e nero, preso da delle telecamere di sicurezza. La voce della giornalista avvisava che Matteo Lefevre, l’uomo che stavano mostrando, era un latitante armato e pericoloso. Chiunque lo avvistasse doveva chiamare la polizia e stargli alla larga, visto che aveva ucciso un anziano in una rapina.
Andrea quasi si strozzò con il boccone che stava masticando.
Un omicida.
Era entrato nel corpo di un omicida. Grandioso. Ecco perché Kurt, o Matteo, si era rintanato in quella stanza. Andrea, senza saperlo, invece si era fatto vedere da non meno di venti persone. Quanto ci avrebbe messo la polizia ad arrivare e cosa gli sarebbe successo dopo? Non voleva finire in carcere, non voleva continuare a vivere come un malvivente. Molto meglio morire.
Il suo sguardo cadde per la terza volta sul letto.
Poteva spararsi. Si sarebbe spostato in un altro corpo come le ultime sei volte e avrebbe evitato la prigione. Magari per una volta gli sarebbe anche andata bene, finendo a controllare un ragazzo circa della sua età e non un assassino, un drogato o una cubista.
Il ragazzo si alzò e si diresse verso il letto. Quando alzò il materasso, la pistola era ancora lì, lucida e nera come un serpente di metallo.
Un colpo e sarebbe finito tutto. Bastava premere il grilletto, no?
Tuttavia, più guardava l’arma, più i dubbi cominciavano ad assalirlo. E se il suo “potere” non avesse funzionato, quella volta? Non sapeva niente di quello che succedeva alla sua mente durante la morte del corpo del suo ospite, non aveva idea delle regole che potevano esserci dietro a quella capacità. Magari, se avesse deciso di suicidarsi, sarebbe semplicemente morto. Forse dovevano essere gli altri a togliergli la vita. Ma chi avrebbe accettato di uccidere una persona a sangue freddo?
Pensieri e domande continuavano ad invadergli la mente, senza che lui trovasse una risposta. Il telegiornale proseguiva a mandare in onda la sua foto mentre le ore passavano.
All’improvviso, del movimento nel parcheggio attirò la sua attenzione.
Con circospezione si avvicinò alla finestra, scostando appena le tende. Non sembrava ci fosse niente di insolito a parte un furgone nero appena arrivato. Non sapeva perché ma lo riteneva sospetto. Forse aveva visto troppi polizieschi.
Rimase parecchi minuti ad osservare senza che succedesse nulla, poi si accorse che due uomini con un giubbotto antiproiettile stavano allontanando un piccolo gruppo di persone.
La polizia lo aveva trovato. Non si era mai sentito più felice.
Corse al letto, prese la pistola e poi si lanciò fuori dalla porta. Non ci fu bisogno neanche di sparare a vuoto. Si limitò a lanciare un grido, sperando di farlo sembrare minaccioso e i poliziotti cominciarono ad uscire dai loro nascondigli intorno al motel, urlando.
Alzò la pistola e chiuse gli occhi, sorridendo.
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